Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti, dice che “Ci sono dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio” (n. 74).
Vogliamo far eco alle parole del Santo Padre facendovi conoscere due persone, un medico chirurgo e una suora, che con diverse competenze, e con eguale abnegazione, hanno aperto il loro cuore al vasto popolo dei sofferenti che le guerre lasciano sempre dietro di sé: il Prof. Lino Smerieri (1906-1994)[1] e Suor Elisabetta Perlotto (1908-1988).
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Il Prof. Smerieri partecipò come medico volontario alla guerra d’Africa nel 1936 e nella seconda guerra mondiale, un mese appena dopo essersi sposato, fu inviato in Russia sul fronte del fiume Don, come Ufficiale Medico presso l’ospedale da campo n. 836 della Divisione di fanteria “Pasubio”, meritando una Medaglia di Bronzo al Valor Militare, due Croci di Guerra ed un Encomio Solenne.
Quest’uomo valoroso, Capitano medico, servirà l’Italia come chirurgo, come docente universitario in Semeiotica Chirurgica presso l’Università di Modena, ma anche nel mondo del volontariato, nella protezione civile e, per quarant’anni consecutivi, nelle associazioni donatori di sangue, fondando anche la sede AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue) nel Comune di Mirandola.
Suor Elisabetta Perlotto ha servito la Chiesa nella Congregazione Imeldina per sessant’anni soprattutto occupandosi dell’educazione dei bambini in varie città d’Italia. Negli anni della seconda guerra mondiale la sede dell’orfanotrofio che le suore gestivano dal 1937 fu adibita per necessità ad ospedale militare. Fu qui che Suor Elisabetta, insieme ad altre consorelle, prestò servizio come infermiera, in emergenza, senza adeguata preparazione professionale.
È il Prof. Smerieri, con un suo breve scritto del 1990, a farci conoscere il profilo interiore di Suor Elisabetta a pochi anni dalla morte e a farci intuire l’energia umana e spirituale che scorreva nelle vene di entrambi:
“Ho incontrato Suor Elisabetta Perlotto nel novembre del 1943 all’Ospedale Militare di Riserva S. Geminiano e S. Paolo di Modena, presso il quale fui inviato dal Comando Militare.
Suor Elisabetta era la Capo Sala del Reparto Chirurgico del quale io presi la direzione dopo il congedamento del Prof. Gambigliani-Zoccoli.
Il reparto era ben organizzato e “l’ambiente operatorio” mi diede subito la tranquillità che non può e non deve mancare al chirurgo che si trova a lavorare tra persone sconosciute e ben presto mi accorsi che la tranquillità globalmente veniva da quella donna vestita da Suora Domenicana.
Restai al S. Geminiano fino all’ottobre 1945, due anni a curare republichini, brigatisti neri, tedeschi, partigiani, prigionieri di nazionalità diverse, civili modenesi.
Non posso in poche righe ricordare tutto quanto si fu costretti a fare nell’Ospedale, in particolare nel reparto chirurgico, ma posso ricordare ed affermare con forza che il “valore” di Suor Elisabetta fu all’ammirazione di tutti e conquistò quanti ebbero la fortuna di conoscerla di essere dal lei assistiti.
Il termine “valore” va però inteso nelle grandi come nelle piccole cose, dalle altamente spirituali alle materiali più umili, da quelle dirette a quelle indirette, da quelle semplici a quelle rischiose, indifferentemente e con serenità.
Suor Elisabetta portava pace dove era turbolenza, rendeva facili le cose complicate, donava fiducia dove era sconforto, infondeva coraggio dove era pericolo, dovunque… anche… in sala operatoria, dove la sua presenza si rendeva preziosa anche se era inoperosa.
Il suo abito esprimeva carità e disponibilità. Dentro quell’abito c’era un cuore generoso fino al sacrificio.
L’ammalato prima di ogni cosa; subito dopo, senza riguardi e senza risparmio, tutti gli altri, tutto il resto sempre col sorriso sulle labbra.
Il patrimonio spirituale della Religiosa aveva trovato la sua massima espressione in un’attività fino allora a lei sconosciuta: l’assistenza ospedaliera alla quale avrebbe desiderato dedicare il resto della sua vita, ma l’obbedienza volle che l’ospedale militare di Modena restasse l’unica esperienza.
A guerra finita… l’ho sempre seguita… a Milano… a Loano… a Bologna… ad Oggiono… ed ora Oltre!”
Guardando a questi due cuori generosi e alla drammatica attualità della loro testimonianza sorge spontaneo un sincero ringraziamento al Capitano dott. Smerieri, a Sr. Elisabetta e a quelle persone che anche oggi continuano coraggiosamente a soccorrere quanti stanno soffrendo a causa della guerra. A Dio un grazie per questi eroi e un grido d’invocazione: mai più la guerra!
Sr. Lorenza Arduin
[1]Per approfondire: pag. 37 di Biografie_Mediche_numero_6_2016: http://www.centrostudipromozioneprofessionemedica.it/wp-content/uploads/2019/05/Biografie_Mediche_numero_6_2016.pdf).